Marte ha sempre attratto la fantasia degli uomini ed il talento degli scienziati. E’ molto vicino alla Terra (tra pochi giorni, il 31 Luglio 2018, sarà in opposizione perielica, quindi molto vicino alla Terra), e sin dall’antichità è sempre stato associato, per via del suo colore rosso, al più indomabile spirito guerriero. Da esso provengono gli omini verdi dei primi racconti di fantascienza, i marziani appunto, e ad esso abbiamo sempre guardato con curiosità. Le discussioni sulla presenza o meno dell’acqua su Marte, poi, si perdono nei secoli.
Un grande scienziato italiano, che prese però un abbaglio pari la sua fama, dedusse dalle sue osservazioni al telescopio che Marte era attraversato da una poderosa rete di canali, costruita dai marziani per portare acqua in tutto il pianeta. Per sua fortuna, Schiaparelli non è ricordato solo per questa “defaillance”…
I canali di Marte disegnati nel 1888 dall’astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli (fonte: Wikipedia)
Ma veniamo alla notizia. Ebbene sì, dopo l’annuncio della NASA del 2015 ora arriva la prima conferma diretta della presenza di un lago formato da acqua salata liquida su Marte. E a darla sono scienziati italiani, responsabili del Mars Advanced Radar per Subsurface e Ionosferic Sounding (MARSIS), uno strumento montato sulla Mars Express dell’Agenzia spaziale europea, lanciata nel 2003 e tuttora in orbita attorno al pianeta rosso. Il merito è di Elena Pettinelli, Enrico Flamini e Roberto Orosei (quest’ultimo Deputy Principal
Investigator dell’esperimento MARSIS), i tre scienziati “senior” dell’impresa, che fanno parte del laboratorio di Fisica applicata alla Terra e ai pianeti dell’Università Roma Tre. Senza dimenticare il contributo di una decina di ragazzi, alcuni precari, tra cui Sebastian Lauro, Elisabetta Mattei, Barbara Cosciotti, Francesco Soldovieri e Federico Di Paolo. Li citiamo per rendere loro il giusto onore al merito!
Una scoperta, la loro, dalle fenomenali implicazioni, a partire dalla presenza della vita in passato o tuttora, fino alle implicazioni nei viaggi verso Marte o nell’insediamento dell’uomo sul pianeta rosso. Ma vediamo nel dettaglio come si e arrivati alla scoperta di acqua su Marte.
Innanzitutto, bisogna dire che l’idea che ci sia acqua su Marte non è né nuova né peregrina. Come detto poc’anzi, già nel 2015 furono annunciate dalla NASA prove indirette della sua presenza, ma tutti i modelli del pianeta rosso indicano che l’acqua su Marte sia stata abbondante fino a qualche milione di anni fa, quando la sua atmosfera era più densa e calda, tagliando nella roccia canyon e canali ancora visibili. Ma oggi, basse pressioni atmosferiche e basse temperature rendono possibile la presenza d’acqua solo come ghiaccio e solo nelle calotte polari e nei depositi di ghiaccio sotto la superficie. E qui entra in gioco il MARSIS, un radar che invia impulsi di onde radio e ne raccoglie i riflessi: alcune delle onde rimbalzano già sulla superficie, ma altre penetrano fino a 3 chilometri di profondità e possono essere riflesse da discontinuità negli strati, come ad esempio il passaggio da ghiaccio a roccia.
Tra il 29 maggio 2012 e il 27 dicembre 2015, MARSIS ha esaminato un’area di Planum Australe di 200 km di larghezza, centrata a 193° E, 81° S (in figura). E’ un’area che non presenta caratteristiche particolari, composta da ghiaccio d’acqua mescolato con polveri e stagionalmente coperta da uno strato molto sottile di ghiaccio secco (ghiaccio di anidride carbonica) che non supera il metro di spessore. In questa zona, gli scienziati di MARSIS hanno iniziato a registrare echi piccoli e luminosi, echi così brillanti che la causa generante poteva essere solo un materiale molto simile al ghiaccio d’acqua. Tra il 2012 e il 2015, la navicella ha confermato l’esistenza dei riflessi luminosi durante 29 passaggi sulla regione polare sud, ed il riflesso più luminoso, sfasato di 9° rispetto al polo, indicherebbe un lago di acqua salata ad 1,5 chilometri sotto il ghiaccio ed esteso almeno per 20 chilometri.
Un altro indizio che dimostra che l’acqua liquida è la responsabile degli echi luminosi viene dalla permittività dielettrica del materiale riflettente, cioè la tendenza del materiale a contrastare l’intensità del campo elettrico presente al suo interno. L’acqua ha una maggiore permettività rispetto a roccia e ghiaccio secco. Calcolare la permittività richiede la conoscenza della potenza del segnale riflessa, qualcosa che si può solo stimare, ma che è paragonabile a quella causata dai laghi subglaciali della Terra.
Non è facile spiegare la presenza di acqua nel polo sud di Marte. Nelle regioni polari della Terra, la pressione del ghiaccio sovrastante abbassa il punto di fusione del ghiaccio e il calore geotermico lo riscalda dal basso, e ciò crea i laghi subglaciali. Ma su Marte si pensa ci sia poco calore geotermico, e considerando la debole gravità marziana, il peso di 1,5 chilometri di ghiaccio non abbassa di molto il punto di fusione. I ricercatori sospettano che i sali, specialmente i perclorati – che sono stati trovati nel suolo del pianeta – potrebbero abbassare il punto di fusione del ghiaccio. Le notevoli quantità di perclorato di magnesio, calcio e sodio nel terreno delle pianure settentrionali di Marte, scoperte usando il laboratorio chimico del Lander Phoenix, supportano la presenza di acqua liquida alla base dei depositi polari. I perclorati possono formarsi attraverso diversi meccanismi fisici e/o chimici e sono stati rilevati in diverse aree di Marte. È quindi ragionevole presumere che siano anche nell’area analizzata dal MARSIS. Poiché la temperatura alla base dei depositi polari è stimata intorno a 205°K (all’incirca -68°C) e poiché i perclorati abbassano fortemente il punto di congelamento dell’acqua (ad un minimo di 204°K – -69°C – e 198°K – -75°C – rispettivamente per i perclorati di magnesio e di calcio), sembra plausibile che uno strato di perclorato possa essere presente alla base dei depositi polari, rendendo possibile la presenza di acqua liquida a quelle profondità ed a quelle condizioni.
Certo, alti livelli di sale e temperature dozzine di gradi sotto lo zero sono una cattiva notizia per chi già immagina di cercare la vita in quelle acque, ma questi primi successi potranno aprire la via alla ricerca di altri laghi in altre zone, magari più temperate, o verificare che questi “laghi subglaciali” possano attingere ad una falda acquifera più profonda.