Canali erosi pieni di ghiaccio secco brillante (il ghiaccio secco è anidride carbonica congelata), in contrasto con il rosso cupo del terreno di Marte. In estate, il ghiaccio scomparirà nell’atmosfera e si vedranno solo i canali scolpiti nella superficie. Immagine scattata il 12 gennaio 2011 con la fotocamera ad alta risoluzione (Imaging Science Experiment, HiRISE) a bordo del Mars Reconnaissance Orbiter.
Man mano che procedono le ricerche su Marte, portate avanti dalla piccola “flotta” inviata dalla Terra sulla superficie e in orbita, diventa sempre più chiara la storia del pianeta rosso, e sempre più scienziati concordano, dati alla mano, su un passato in cui l’acqua scorreva abbondante tra i suoi crateri e i suoi canyon. Cicatrici inequivocabili lasciate sulla superficie dalla presenza di fiumi e laghi, rocce che parlano di ambienti umidi, spettrometri che segnalano frequentemente la presenza di ghiaccio d’acqua imbrigliato nel permafrost sono i fatti con i quali si confrontano ogni giorno i ricercatori che ne scrutano il passato, nel tentativo di rispondere a domande semplici e tuttavia straordinariamente importanti: l’acqua nel passato c’era? E se c’era, ha favorito lo sviluppo della vita? E ce n’è ancora? La potremo trovare e utilizzare quando l’uomo poserà il suo piede anche su quella sabbia rossa?
Per rispondere a questi interrogativi gli scienziati affrontano gli studi con approcci diversificati, non ultimo le simulazioni dell’ambiente e del clima marziano del passato confrontandolo con quanto oggi il pianeta rosso ci propone, al fine di stabilire la probabilità di questo o quello scenario. Ed è proprio questo il metodo che ha recentemente utilizzato un gruppo di studiosi: basandosi su modelli matematici del clima marziano, elaborati da importanti centri meteorologici, i ricercatori hanno cercato di verificare come i ghiacci rispondano, con lo scorrere dei milioni di anni, alla caotica variazione dell’obliquità del pianeta. Per inciso, questo discorso è importante anche per le ipotesi sull’origine della vita su Marte, in quanto l’evoluzione necessita anche di una relativa stabilità, e uno dei motivi per i quali si sospetta che la vita sul pianeta rosso non abbia avuto la possibilità di evolversi verso forme più complesse di quella unicellulare (ammesso che di questa si trovino tracce), è proprio la troppo repentina e frequente variazione dell’obliquità del pianeta, cioè dell’angolo formato dal suo asse di rotazione rispetto alla perpendicolare al piano orbitale, che è causa di drastiche modificazioni, su scala planetaria, del clima marziano.
Le simulazioni computerizzate portano gli scienziati a credere probabili inclinazioni dell’asse di rotazione di Marte anche di 30-50° in più o in meno rispetto al valore attuale (25°,19) e ciò perché Marte subisce perturbazioni gravitazionali da parte degli altri pianeti che ne destabilizzano l’inclinazione sul piano orbitale.
Sulla Terra, per fortuna, tali effetti sono notevolmente ridotti dalla presenza della Luna: elaborazioni computerizzate hanno infatti mostrato che la Terra, senza la Luna, avrebbe potuto subire variazioni di obliquità anche di ±10°, mentre da quando il sistema Terra-Luna si è formato, l’obliquità terrestre ha conosciuto oscillazioni di soli ±2 (e queste sono bastate con tutta probabilità a causare le ere glaciali!).
Rappresentazione della variazione nel valore dell’obliquità marziana riferita agli ultimi 10 milioni di anni. Come si può osservare dal grafico, le oscillazioni si presentano in cicli, passando da un valore massimo a uno minimo e di nuovo al massimo con una periodicità regolare di circa 120 mila anni terrestri (60 mila anni marziani).
Tornando a Marte, gli scienziati si sono basati sul Martian Global Climate Model elaborato dal celebre Laboratoire de Météorologie Dinamique francese per descrivere gli scambi tra le superfici ghiacciate e il vapore acqueo atmosferico, i turbolenti percorsi di quest’ultimo e la formazione delle nubi. Quello che gli scienziati hanno visto apparire dalle simulazioni computerizzate è la sostanziale instabilità dei ghiacci depositati al polo nord entro un certo intervallo di valori di obliquità, soprattutto tra 35 e 40°, e la loro tendenza a ridepositarsi ai tropici, precisamente nelle regioni dei Tharsis Montes e del Monte Olympus, in quanto i parametri fisici dell’atmosfera in quella zona di altissime montagne ne favorisce la condensazione e quindi la precipitazione. Ciò spiegherebbe anche la presenza di depositi caratterizzati da una morfologia che ricorda gli scorrimenti morenici dei ghiacciai terrestri sui fianchi occidentali delle montagne della zona.
Risultato di simulazioni della deposizione dei ghiacci su Marte per obliquità dell’asse pari a 40°: i ghiacci si accumulano sostanzialmente in quattro regioni equatoriali, specie nella regione di Tharsis (Arsia, Pavonis e Ascraeus Montes) e sul Monte Olympus. La tonalità delle ellissi indica il tasso di deposizione annuo, che va all’incirca da 1 mm a 2-4 cm. L’immagine di fondo è una mappa globale diurna opera della Mars Global Surveyor; il mosaico non è completo per ciò che riguarda la regione polare meridionale che, all’epoca delle riprese, era completamente in ombra (fonte: MSSS/NASA).
Ottenuti questi dati e partendo da essi, e cioè dall’ipotesi che nel recente passato l’obliquità fosse prossima ai 40° e che ci fossero quindi depositi di ghiaccio a cavallo dell’attuale equatore, il gruppo di scienziati ha indagato che cosa potrebbe essere accaduto nel ritorno a valori di inclinazione simili agli attuali, scoprendo nelle simulazioni che i ghiacci si spostano consistentemente verso le latitudini superiori attestandosi intorno ai 65° di latitudine e preferendo, forse per motivi legati all’orografia del territorio, l’emisfero nord, cominciando appena a depositarsi a pari latitudine nell’emisfero sud. Ciò che dà credibilità a questo studio è che quello che si osserva dalle simulazioni ricalca con molta precisione l’attuale distribuzione dei ghiacci ottenuta dai dati della Mars Odyssey e della Mars Global Surveyor.
Una delle conclusioni che derivano dal lavoro qui presentato è che non è solo la topografia della distribuzione a risentire notevolmente delle variazioni di obliquità, ma anche il tasso di deposizione dei ghiacci, inteso come la quantità che va ad accumularsi anno per anno sull’ammontare precedente. Se si considera un tasso di deposizione ragionevolmente simile all’attuale (circa 2 mm per anno marziano), nell’ultimo ciclo di variazione di inclinazione dell’asse, da circa 40° a 15° e di nuovo al valore attuale, sotto la polvere del suolo marziano alle alte latitudini, che impedisce ulteriori perdite per sublimazione, si dovrebbe essere depositato un banco di ghiacci dello spessore di circa 10 m; e a ogni ciclo la situazione si ripete, andando a rimpinguare le riserve create dal ciclo precedente. Sono ovvie le ripercussioni di questi cicli di deposizione sul clima marziano.
In tempi scala dell’ordine del miliardo di anni (ricordiamo che le simulazioni di cui si è discusso coprono solo gli ultimi 10 milioni di anni), la caoticità della variazione di obliquità di Marte rende statisticamente più probabili valori uguali o superiori a 40. Ecco, quindi, che diventa ragionevole supporre che le riserve scovate dagli strumenti della Mars Odyssey siano solo la proverbiale “punta dell’iceberg” di depositi ben più abbondanti, e che ulteriori indagini, come quelle che può effettuare la Mars Express (con gli esperimenti SHARAD e MARSIS, quando verranno attivati) possano quantificarle con più precisione.
Chissà che l’uomo, una volta giunto su Marte, non sia in grado di ricavare l’acqua da quelle riserve, piuttosto che portarsela da casa…
(Piter Cardone – Pubblicato su “Le Stelle”, n. 25, gennaio 2005, pagg. 12-13)