Una foto originale di parte della devastazione della foresta siberiana a Tunguska, in Russia. La foto fu scattata in una spedizione del 1927.
Tunguska, Siberia. Sono circa le 7 e un quarto, e il sole è sorto già da alcune ore su una zona della taiga siberiana totalmente disabitata. Foreste incontaminate si estendono per migliaia di km in tutte le direzioni ed un piccolo fiume scorre tranquillo ad una sessantina di km di distanza. L’aria è fresca e il clima terso, la giornata si prospetta “friccicarella”. In questa zona, infatti, la temperatura media a fine giugno è intorno ai 15 gradi. Alle 7.17 il cielo si illuminò di colpo ed una potente esplosione squassò la zona. Attenzione, perché l’espressione “potente esplosione” è altamente riduttiva: gli echi della scossa di terremoto che risultò dal cosiddetto Evento di Tunguska furono registrati dai sismografi di tutto il mondo, compresi quelli di Washington, dall’altra parte del pianeta!
Una cometa, o molto più probabilmente un meteorite pietroso dal diametro di un centinaio di metri, esplose in volo il 30 giugno 1908 in quella zona ad una quota stimata di 5-10 km d’altezza. Il botto di Tunguska fu udito ad oltre 1000 km di distanza e secondo alcune testimonianze, un treno in viaggio sulla celebre ferrovia transiberiana quasi deragliò, ed era ad oltre 500 km da lì! Nel frattempo, a Londra, in cui per il fuso orario era circa mezzanotte, grazie al bagliore provocato dall’esplosione si poteva leggere tranquillamente il giornale, e così anche la sera successiva, e Londra dista dal punto dell’impatto circa 6000 km! Vi rendete conto di che cataclisma dev’essere stato? E con soli 100 metri di asteroide… Provate a immaginare quei poveri dinosauri e il loro “Armageddon” di 10 km di diametro…
Leggete cosa testimonia 22 anni dopo Semen Semenov, che si trovava nei dintorni di Vanavara, cittadina ad oltre 60 km dall’epicentro dell’evento di Tunguska:
Improvvisamente vidi che direttamente a nord il cielo si divideva in due e il fuoco appariva alto e largo sulla foresta. La spaccatura nel cielo si allargò e l’intero lato settentrionale fu coperto di fuoco. In quel momento divenni così caldo che non potevo sopportarlo, come se la mia camicia fosse in fiamme; dal lato settentrionale, dove c’era il fuoco, proveniva un forte calore. Volevo strapparmi la maglietta e buttarla giù, ma poi il cielo si è chiuso, e si è sentito un forte tonfo, e sono stato scaraventato a pochi metri. Ho perso i sensi per un momento, ma poi mia moglie è corsa fuori e mi ha portato a casa. Dopo di che venne un tale rumore, come se cadessero sassi o sparassero cannoni, la Terra tremò. Quando il cielo si è aperto, il vento caldo correva tra le case e ha lasciato tracce nel terreno come sentieri, e ha danneggiato alcuni raccolti.
Si stima che la potenza esplosiva dell’evento di Tunguska fu di un migliaio di bombe atomiche di Hiroshima (dai 5 ai 30 Megatoni), e che ha scaricato a terra la stessa energia sprigionata da un terremoto del quinto grado Richter. Come detto, la zona è assolutamente disabitata, lontana da tutto e da tutti, ed infatti la prima spedizione inviata in loco per indagare le cause fu organizzata solo tredici anni dopo, nel 1921, e solo nel 1927 si riuscì ad arrivare all’epicentro. Quella che fu registrata dai primi testimoni oculari fu una devastazione immane: oltre 2000 km quadrati di foresta siberiana distrutti, ma distrutti in modo strano…
Immaginate un tavolo con milioni di stuzzicadenti posizionati accuratamente ritti in piedi (è un vero esperimento questo, effettuato in Russia intorno agli anni ’60), ed immaginate un’esplosione che si diparta da un punto, in alto, come una sfera che si espande in tutte le direzioni. Gli stuzzicadenti posti precisamente sotto il punto di esplosione restano in piedi, ma quelli intorno vengono schiacciati al suolo stendendosi a raggiera e puntando tutti verso il centro. E’ esattamente quello che trovò la spedizione di Kulik, il mineralogista russo a capo della prima spedizione: già ad oltre venti km dalla verticale dell’esplosione gli alberi erano distesi in terra, ma nei pressi dell’epicentro, e per circa 8 km intorno, gli alberi erano tutti ritti in piedi, anche se completamente spogliati e carbonizzati. Oggi questa devastazione si vede ancora, anche se la natura ha ricominciato a crescere rigogliosa.
A riprova di un’origine extraterrestre di questo disastro sta il fatto che numerosi campioni raccolti nei decenni successivi mostrano alterazioni nel rapporto isotopico e nella composizione rispetto ai campioni normalmente presenti nelle zone circostanti.
L’ipotesi che vi ho descritto resta quella che incontra il maggior favore nella comunità scientifica, anche se non ne mancano altre. Un astrofisico tedesco, ad esempio, ritiene che l’evento di Tunguska possa essere stato causato da un’immane perdita di gas naturale dal sottosuolo: il gas è risalito in atmosfera dove è stato “acceso” forse da un fulmine e comportandosi un po’ come quando uno sbadato prova ad accendere il barbecue mentre sta ancora spruzzando alcool: il fuoco risale la scia e incendia la bottiglia. Il fuoco acceso dal fulmine sarebbe dunque risalito indietro fino al deposito di gas naturale, facendo esplodere tutto.
Ci sono anche altre ipotesi, come l’esplosione di un piccolo quantitativo di antimateria, o un’astronave aliena, o un mini-buco nero che ha attraversato il pianeta fuoriuscendo dall’altro lato (nel quale però non si misurano effetti), ma mi perdonerete se queste preferisco non commentarle 😀
In memoria dell’evento di Tunguska, che resta la più grande esplosione di un asteroide registrata in epoca storica, è stata istituita la giornata internazionale degli asteroidi (qui il sito, se volete dargli uno sguardo: https://asteroidday.org/), grazie anche a personalità sensibili ed influenti come Brian May, leggendario chitarrista dei Queen e laureato in astrofisica. La giornata nasce appunto per sensibilizzare l’opinione pubblica e – manco a dirlo – la politica sul tema dello studio degli asteroidi potenzialmente pericolosi per il nostro pianeta. In tutto il ‘900 sono stati scoperti un migliaio di asteroidi, ma negli ultimi anni si viaggia ad un ritmo di un paio di migliaia all’anno, per fortuna non tutti su traiettorie pericolose, ma converrete con me che il monitoraggio continuo al fine di stabilirne le orbite corrette e soprattutto il sapere di cosa sono costituiti (ferro o ghiaccio fanno una grandissima differenza in caso di impatto) diventa vitale per la nostra stessa sopravvivenza…