Il mito greco più antico che riguarda la costellazione del Cigno è quello di Leda, figlia di Testio, moglie del re di Sparta Tindaro. Secondo il mito, che presenta diverse varianti, Zeus, innamoratosi di lei, si trasformò in un cigno e la sedusse, generando due uova. Da un uovo sarebbero nati i Dioscuri (i “figli del dio”), Castore e Polluce, dall’altro Elena e Clitemnestra. Alcune delle varianti del mito dipendono dal fatto che probabilmente anche Tindaro giacque con la moglie Leda la stessa notte, per cui da un uovo sarebbero nati Polluce ed Elena, mentre da un parto naturale (o da un altro uovo) sarebbero nati i figli di Tindaro, Castore e Clitemnestra.
In un’altra versione, comune anche al mito che racconteremo in seguito concernente la ninfa Nemesi, Zeus, per raggirare Leda con maggior facilità, chiese ad Artemide, sua figlia, di trasformarsi in aquila e fingere di dar la caccia al dio sotto le sembianze di cigno. Alla fine Leda lo accolse, proteggendolo dall’aquila, senza sapere in che genere di “guaio” si stava cacciando.
Ancora un’altra versione: Zeus provò a “conquistare” Nemesi, la quale tentò di fuggire da lui trasformandosi in tutta una serie di animali, sempre più veloci, fino all’oca. Zeus la inseguiva compiendo le stesse trasformazioni fino a che, trasformandosi in un cigno, la raggiunse e la possedette. A Leda fu poi portato – o Leda trovò – l’uovo frutto dell’unione tra Zeus e Nemesi, dal quale sarebbe nata Elena.
Il mito alla base della costellazione del Cigno è un mito altamente simbolico, e nell’arte ha dato luogo ad una serie di rappresentazioni diverse, forse anche per le varie versioni del mito. Tra quelle che abbiamo raccontato, la versione che coinvolge l’aquila è ad esempio rappresentata in pietra da una statua di marmo che si fa risalire all’età adriana (II sec. a.C.), copia di un originale del V sec. a.C. probabilmente scolpito da Timotheos e conservata a Roma nei Musei Capitolini, in cui Leda è seduta, il cigno sotto il braccio destro e con una sorta di mantello alzato dal braccio sinistro a proteggere il candido uccello dalle grinfie dell’aquila.
Altre rappresentazioni artistiche figurano il rapporto in modi diversi, con Leda adagiata mentre il cigno la abbraccia, fino a rappresentazioni altamente erotiche in cui la stessa Leda giace sotto il cigno in pose assolutamente esplicite. E’ per questo motivo che il mito di Leda e del cigno si diffonde rapidamente in campo artistico, soprattutto nel medioevo, epoca buia e “bigotta”: l’allegoria dà modo agli artisti di raffigurare esplicitamente l’atto sessuale, senza urtare la “morale” pubblica ed ecclesiastica.
Persino Leonardo pare abbia disegnato varie scene raffiguranti il cigno e Leda, riportateci dai suoi allievi; una di queste fu ripresa e rielaborata da Michelangelo e giudicata talmente erotica da richiederne prima il bando e poi, probabilmente, la distruzione. Un mito ripreso successivamente nel Settecento, nell’Ottocento (Moreau e il manifesto del simbolismo) e nel Novecento sia in letteratura (come non citare Proust e “La Fuggitiva”) che in pittura, con Matisse e con la “Leda atomica” di Dalì.
Quello della costellazione del Cigno è un mito potente, che ha attraversato i secoli senza perdere la tensione erotica propria del mito originale. In effetti, se vogliamo prendere le radici indoeuropee delle lingue del Mediterraneo, da div – risplendere – deriverebbe diòs, genitivo di Zeus, mentre Leda potrebbe derivare da “lada”, la donna, riferita al mitico essere femminile primordiale. Il mito sarebbe dunque una descrizione dell’unione divina, violenta, se vogliamo maschilista (come erano le civiltà antiche, anche quelle più “evolute”) tra il dio degli dei – sotto forma di un candido e innocuo cigno – ed il paradigma femminile…