La Nebulosa Boomerang ripresa dall’Hubble Space Telescope (Image Credit: NASA, ESA e Hubble Heritage Team – STScI/AURA)
Alla fine degli anni ’90, due astronomi scoprirono un filamento ionizzato di circa 2°,5 gradi di lunghezza (per avere un’idea, stendendo il braccio e alzando il pollice, lo spessore del dito sottende proprio circa 2°,5) in direzione della costellazione dell’Orsa Maggiore. Il filamento non è visibile ad occhio nudo, ma fa bella mostra di sé alla lunghezza d’onda di 656 nanometri, la cosiddetta banda H-alfa che indica idrogeno ionizzato. Da allora, altri studiosi si sono cimentati nello studio di quel filamento anche in altre lunghezze d’onda, allo scopo di comprenderne la natura e, quindi, dedurne l’origine.
Di recente, un gruppo di scienziati coordinati dall’italiano Andrea Bracco, ha pubblicato su Astronomy and Astrophysics Letters i risultati del proprio lavoro su questa peculiare struttura, studiandola anche nel vicino ultravioletto (lunghezza d’onda 170-280 nanometri, grazie ai dati del satellite GALEX, Galaxy Evolution Explorer), nell’ultravioletto lontano (130-180 nanometri) e in ottico. Sono stati proprio gli studi in queste lunghezze d’onda a mostrare che il piccolo filamento di circa 2°,5 scoperto nel 2001, in realtà, non è altro che il tratto iniziale di un filamento molto più grande, un arco di circa 30° di lunghezza. Ciò fa dell’arco dell’Orsa Maggiore una delle strutture più grandi nell’emisfero boreale. Inoltre, il fatto di ritrovarlo con strumentazioni diverse ed a lunghezze d’onda diverse, esclude con certezza che possa trattarsi di un qualche tipo di artefatto.
Il grande arco dell’Orsa Maggiore ripreso in più lunghezze d’onda. L’immagine più grande mostra le varie riprese del satellite GALEX nell’ultravioletto lontano, mentre l’inserto (c) mostra uno “spicchio” di arco nella banda H-alfa (fonte: Astronomy and Astrophysics Letters)
Probabilmente, si tratta del residuo di uno shock radiativo avvenuto per l’esplosione di una supernova entro poche centinaia di parsec dal Sole (1 parsec, pc, equivale a 3,26 anni luce). La struttura dell’arco è stata infatti confrontata con strutture simili, ma non così grandi, derivanti da esplosioni di supernova, trovando alcuni dei parametri noti per quelle esplosioni coerenti con quelli misurati per questo arco. Saranno necessari di certo altri studi per comprendere appieno la natura dello spazio interstellare in cui questa grande onda di shock si muove (in primis la sua densità) e per determinare meglio i parametri fisici dell’arco (ad esempio, la sua distanza). Per ora, alcune simulazioni indicano che tale supernova possa essere esplosa ad una distanza di circa 600 anni luce dal nostro Sole ben 100.000 anni fa, e che il fronte d’urto si muova nel mezzo interstellare ad una velocità di circa 100 km al secondo.
La foto in basso, scattata a Meta (NA) in occasione del primo passaggio sull’Italia della ISS con agganciata la capsula Crew Dragon di SpaceX (la scia luminosa tra le stelle dell’Orsa Maggiore Merak, in alto, e Dubhe, in basso) mostra in scala come si vedrebbe l’arco se, appunto, fosse visibile ad occhio nudo (il segmento rosso è quello scoperto alla fine degli anni ’90). Esso si estenderebbe dall’Orsa Maggiore ad ovest fino all’Orsa Minore ad est (la stella in basso a destra è la Polare), proprio sotto la costellazione del Dragone.