La superficie dell’asteroide Ryugu subito dopo il touch and go della Hayabusa-2 con il quale sono stati recuperati i pezzetti di roccia asteroidale da riportare a terra (fonte: JAXA)
Il 6 dicembre, ovvero domenica prossima, in Australia piomberà dal cielo un “pacchetto” lasciato cadere da una sonda giapponese, la Hayabusa-2. La sonda, di rientro da un viaggio durato 6 anni, effettuerà infatti un flyby con la Terra durante il quale lascerà cadere la capsula contenente i campioni prelevati dalla superficie dell’asteroide 162173 Ryugu poco più di un anno fa. Questa “confezione regalo”, una volta penetrata in atmosfera alla velocità di oltre 43.000 km l’ora, si paracaduterà dolcemente (si spera!) nell’area di Woomera, nell’Australia meridionale.
La sonda Hayabusa-2 è partita dalla Terra nel dicembre del 2014 ed ha raggiunto il suo obiettivo, l’asteroide 162173 Ryugu nel giugno del 2018. Su questo corpo roccioso, un asteroide della famiglia Apollo di tipo C che si ritiene possa contenere acqua e molecole organiche, ha deposto tutta una serie di strumenti scientifici. Dapprima tre piccoli rover che si muovono saltellando (tra poco vedremo perché), ed infine un lander chiamato Mascot, un minuscolo ma sofisticatissimo laboratorio chimico per lo studio della superficie. Un’operazione tutt’altro che banale se considerate che la gravità su un corpo della densità di Ryugu è 66.500 volte più bassa di quella terrestre! Fatti due calcoli, ciò significa che una persona di massa media, diciamo di 66 kg e mezzo per semplificarci i calcoli, peserebbe su Ryugu un solo grammo! Ciò aiuta a comprendere perché ad esempio la sonda Mascot, rilasciata alla “folle velocità” di 0,15 km all’ora (quella di una lumaca sonnecchiante, per intenderci), ha rimbalzato per una mezz’oretta circa su questo piccolo asteroide prima di fermarsi…
Non solo, ma dalla sonda è stato lanciato anche una sorta di piccolo razzo (di soli 5 grammi di massa) che ha scavato un cratere dal quale la Hayabusa-2, in uno dei due “touch and go” effettuati sulla superficie dell’asteroide, ha prelevato materiale roccioso, conservandolo in un piccolo cassetto di 25 centimetri cubi di volume, da rispedire a terra per le analisi. Ancora, nell’aprile del 2019, si è proceduto ad una seconda raccolta, questa volta di materiale non superficiale. Le cose sono andate così (qui una simulazione per comprendere meglio l’operazione): la sonda ha lasciato in orbita attorno Ryugu un proiettile di rame di due chili e mezzo, e nel frattempo si è spostata, per prudenza, dal lato opposto dell’asteroide. Il proiettile è stato infatti sparato sulla superficie alla velocità (non irrisoria, questa volta) di oltre 7.000 km l’ora, creando un cratere di circa 400 metri di diametro che ha esposto materiale profondo, e quel che più conta incontaminato, poiché fino ad allora protetto dalle radiazioni solari e cosmiche da un cospicuo strato di superficie. Due settimane dopo, la Hayabusa-2 è scesa in questo cratere recuperando altro materiale. La sonda è stata progettata per raccogliere almeno 100 milligrammi di materiale roccioso dalla superficie di Ryugu, ma l’incognita sta nel fatto che non è possibile misurare la quantità precisa che è stata raccolta. Negli anni 2000, la sonda Hayabusa aveva già effettuato questa manovra sull’asteroide Itokawa (un asteroide di tipo S), ma una volta aperto il contenitore a terra, gli scienziati si sono resi conto che il materiale raccolto era veramente poco. Questa volta i problemi che riscontrò la progenitrice Hyabusa non si sono avuti con la Hayabusa-2, per cui si spera di essere più fortunati…
Con questa missione si prevede di dare un deciso contributo alle ricerche sulla comparsa della vita sulla terra, poiché si ritiene che dalle comete e da questo particolare tipo di asteroidi, le condriti carbonacee, sia “piovuto” sul nostro pianeta materiale organico ed acqua che hanno consentito, per l’appunto, lo sviluppo della vita sul nostro pianeta. Questi sassi, questi residui della formazione del sistema solare di oltre 4 miliardi e mezzo di anni fa, possono infatti essere visti anche come enormi frigoriferi in cui sono conservati buona parte degli ingredienti che hanno costituito i pianeti e che, in ultima analisi, hanno consentito che si arrivasse, dopo miliardi di anni di evoluzione, ad un blogger che scrive un post come questo a voi che lo leggete con interesse.
Asteroidi di tipo Apollo
Gli asteroidi di tipo Apollo sono un gruppo di NEA (Near Earth Asteroids) caratterizzati da un’orbita avente semiasse maggiore superiore all’Unità Astronomica (1 UA = 150 milioni di km circa) ed un perielio, ovvero un punto di massimo avvicinamento al Sole, inferiore ad 1,017 UA. Sono oggetti, quindi, che incrociano l’orbita della Terra e che potrebbero impattare su di essa.
Asteroidi di tipo C
Si tratta di asteroidi costituiti per la maggior parte da carbonio, molto scuri (proprio come il carbone, o la fuliggine) e sono praticamente immutati dall’epoca della formazione del Sistema Solare, 4,6 miliardi di anni fa. Contengono composti del carbonio e composti contenenti acqua (idrati) e ciò li rende obiettivi di ricerca bioastronomica per il ruolo che si pensa abbiano svolto nell’origine della vita sul nostro pianeta.
Asteroidi di tipo S
Gli asteroidi di questo tipo spettrale sono ricchi in silicio, molto più brillanti dei cugini di tipo C (riflettono maggiormente la luce solare) e contengono principalmente metalli quali nichel, magnesio, ferro. Per questo si studiano le loro possibili ricadute nello sfruttamento minerario per l’approvvigionamento di metalli
Manca ancora poco per capire se la sonda Hayabusa-2 è riuscita a fare il pieno, e se dalle analisi nelle camere ultrasterili in Giappone arriveranno buone notizie in campo bioastronomico. Intanto, incrociamo le dita per le procedure di atterraggio e recupero di domenica mattina!