Un’aurora boreale fotografata dall’US Force (© US Air Force photo/SrA Chris Gross)
In un mondo sempre più dominato dall’elettronica, le “bizze” del Sole equivalgono un po’ alla kriptonite per Superman. Un’attività solare troppo intensa, con espulsioni di massa coronale (CME) ed emissione di particelle energetiche solari (SEP), potrebbe infatti mandare letteralmente in fumo i circuiti elettronici a terra e quelli dei satelliti in orbita, catapultandoci in uno schiocco di dita in una nuova età della pietra. E’ per questo motivo che gli studiosi cercano di ricostruire l’attività solare del passato, al fine di avere più dati su cui basare modelli previsionali per il futuro.
La declinazione magnetica, detta anche variazione della latitudine magnetica, è l’angolo tra nord magnetico e nord vero. Man mano che il campo magnetico terrestre varia nel tempo, le posizioni dei poli magnetici nord e sud cambiano gradualmente. Questa mappa mostra linee isogoniche storiche (dove la declinazione ha lo stesso valore) e poli magnetici (punto verde) calcolati per gli anni 1590-2020. Le linee rosse sono positive (ad est del nord), le linee blu sono negative (ad ovest del nord) e la linea verde è agonica, o declinazione zero.
In questo contesto si inserisce un nuovo lavoro che si è occupato di analizzare tavolette cuneiformi assire risalenti ad un periodo centrato intorno al 670 a.C. alla ricerca di registrazionei di aurore boreali.
Ma come, si dirà, aurore boreali in Mesopotamia?
Ebbene sì, poiché ai poli magnetici terrestri piace passeggiare lungo il globo, dando luogo a quelle che sono chiamate Variazioni Secolari delle Latitudini Magnetiche (MLAT). Tra la metà e l’inizio del VII secolo a.C. il polo nord magnetico era in Eurasia e non in Nord America come oggi, molto vicino alle latitudini delle principali località assire e babilonesi. Il polo nord per città come Ninive (N36°21′, E43°09′), Babilonia (N32°33′, E44°26′), Ur (N30°58′, E46°06′) e Uruk (N31°20′, E45°38′), si trovava infatti ad una distanza angolare di circa 8 gradi dal polo nord magnetico di quel periodo.
I rapporti su tavolette
I re assiri, che in quel periodo dominavano l’area da cui provengono le tavolette studiate, richiedevano espressamente una “predizione” astrologica basata su eventi osservati, e gli astronomi/astrologi di corte provvedevano diligentemente. Questi rapporti mostrano termini tecnici accadici assolutamente precisi e una profonda conoscenza di vari eventi celesti (comete, dette ṣallummû, meteore, dette kakkabu rabû, e aloni, detti tarbāṣu). Purtroppo, solo una piccola frazione delle tavolette è datata in modo esplicito. Tuttavia, poiché come detto questi rapporti venivano redatti quando avvenivano determinati eventi celesti, questi devono essersi verificati durante il mandato degli astrologi menzionati nei rapporti. Pertanto, si può legittimamente arguire che siano stati compilati in un intervallo di date compatibile a quello in cui gli astrologi che li hanno redatti lavoravano per il re assiro.
Gli studiosi hanno analizzato 389 rapporti astrologici esaminati, e di questi solo tre (lo 0,8%) contengono espressioni che possono far pensare a fenomeni aurorali, come “bagliore rosso”, “nuvola rossa” e “cielo rosso”. Questi tre candidati aurorali sono rarissimi se rapportati alla totalità delle osservazioni, ma per gli assiri e i babilonesi sono stato talmente degni di nota da volerli includere nelle loro previsioni astrologiche.
Le tre tavolette datano all’incirca 679-655 a.C., 677-666 a.C. e 679-670 a.C. Pertanto, le registrazioni di aurore sulle città assire e babilonesi nell’intervallo 679-655 a.C., indica il verificarsi di grandi espulsioni di massa coronale interplanetaria e successive tempeste magnetiche. Può sembrare aleatorio identificare espressioni generiche come “bagliore rosso”, “nuvola rossa” e “cielo rosso” come aurore boreali, ma i ricercatori riportano in appendice nel loro lavoro una discreta e convincente casistica di osservazioni risalenti a fine ottocento in cui le persone descrivevano il fenomeno con le stesse similitudini.
Ma come verificare ulteriormente – e scientificamente – le ipotesi degli autori?
Alberi e ghiacci
La figura a lato mostra la variazione dell’isotopo 14C negli anelli di accrescimento degli alberi durante il periodo a cui si fanno risalire le tavolette. E’ immediata l’associazione, assolutamente documentata anche in epoca storica più recente, tra i minimi solari ed un accumulo di questo isotopo del carbonio nella vegetazione. Ma a cosa è dovuto questo fenomeno? Esso dipende dal fatto che una ridotta attività magnetica solare implica un minore “effetto protettivo” del Sole nei confronti dei raggi cosmici, che quindi bombardano maggiormente il nostro pianeta generando in quota sia il 14C che altri isotopoi come il 10Be e il 36Cl.
Ed infatti, ad ulteriore supporto provengono anche i dati relativi al maggior accumulo di 10Be e 36Cl nelle carote di ghiaccio risalenti allo stesso intervallo di tempo.
La conclusione più ovvia è che uno o più eventi SEP estremi si sono verificati a partire dalla fine del VII secolo a.C. durante un periodo di aumento dell’attività solare, che ha causato un aumento delle registrazioni aurorali ed un parallelo aumento della concentrazione degli isotopi del carbonio, berillio e cloro in atmosfera.
Concentrazione di 14C per il periodo dall’850 al 600 a.C. Le risoluzioni temporali sono di 5 anni per i dati IntCal13 (Reimer et al., 2013) e di 1 anno per i dati presentati in Park et al. (2017), rispettivamente. Il periodo in azzurro, compreso tra l’810 a.C. e il 720 a.C., rappresenta un grande minimo solare (Usoskin et al., 2007). Gli intervalli di tempo delle tre registrazioni di aurore discusse nel testo vengono tracciati insieme.